Considerazioni

13/09/2008

consigli alla pratica del kata

Centro Studi Nazionale Judo Kodokan


                                                        Moscato Luigi                            

                              CONSIGLI ALLA PRATICA DEL KATA - 2008

 

 

 

Mi sono permesso di aggiungere alle mie considerazioni sul Nage no Kata anche alcuni consigli tecnici su come intendo la “ pratica “ dei Kata.

Innanzi tutto è doverosa una premessa; non mi ritengo un grande esperto dei kata ma un sincero praticante da più di 30 anni con i migliori Maestri italiani e, negli ultimi anni, con i grandi Maestri giapponesi.

Fin da quando ho cominciato a praticare Kata ho sempre sentito dire che in queste forme schematizzate vi erano racchiusi i “ segreti ” del Judo, e solo chi ne veniva a conoscenza poteva ambire a dire “ ho compreso”.

Per gli innamorati del Judo, intesa come disciplina tradizionale, la pratica dei Kata assumeva il tono di una “sfida”, costringendo il praticante a “ forzare” questi “scrigni” per diventarne poi gelosi tenutari anche se, purtroppo, spesso modificati a uso personale da questo o l’altro Maestro. Certo qualche confusione si è creata, e purtroppo continua a esserci. Se non altro la conoscenza dei Kata si è diffusa ed è facile, di recente, sentirne parlare anche nelle gare agonistiche e, a mio parere, questo è un aspetto positivo.

Probabilmente, più che altro in virtù dei Word Masters, questi nuovi campionati recentemente creati, vengono presentati in forma di gara i quali offrono sì motivo di studio relegando, però, in secondo ordine il “motivo” per cui si studia il kata, mercificando una medaglia al posto della pratica reale finalizzata allo studio e alla “comprensione” . Ma questa è un’altra storia.

E’ anche vero che ognuno può, e fare, come meglio crede. Pertanto le intenzioni non sono da biasimare l’importante è, comunque, una buona pratica ed è a questo aspetto che sono volti i miei consigli.

                                                    Nage no Kata

Come tutte le lezioni di tecnica, ( Tachi Waza , Ne Waza e preparazione agonistica), ogni kata deve necessariamente essere “preparato” con degli esercizi specifici. Mi spiego; il Nage no Kata presuppone una cura particolare sullo squilibrio e sulle Ukemi, e non parlo delle Ukemi “ educative” ma specifiche. Il praticante, di sicuro l’insegnante, sa che le cadute nei primi tre gruppi non sono Mae Mawari, o Kaiten, ma tutte“ Zempo” saltate, pertanto occorre allenare la caduta secondo questa esigenza in maniera graduale. Inoltre occorrono degli accorgimenti, indispensabili. per il Kata, atti a migliorarne la prestazione. Es: SEOI NAGE –appoggiare la mano sulla schiena per evidenziare ancor di più la proiezione, ( appoggiare la mano sulla schiena non vuol significare una difesa come erroneamente alcuni insegnanti spiegano - ndr ) la quale deve avvenire in linea sul dorso e non di lato come Ippon Seoi nage. TOMOE NAGE-URA NAGE -SUMI GAESHI-YOKO GURUMA-UKI WAZA - ; appoggiarsi sul braccio che spinge invece che la mano sul tatami imprimendo così un maggiore slancio alla tecnica, e quindi una proiezione più ampia.

Per quanto riguarda l’unica caduta “ secca” del Nage no Kata, YOKO GAKE, occorre una preparazione a parte. Innanzi tutto non è una caduta laterale, o avanti , ma indietro e “ Zempo “ saltata, tipo “ otoshi”, ( per rendere l’idea) quindi sul posto. Molti, ancora, eseguono Yoko Gake agganciando il piede lanciando uke quasi dietro, ma questo è errato, (come spiega il M° Toshiro Daigo 10° Dan, responsabile del Nage no kata al Kodokan ) dato che nella versione attuale viene eseguita la tecnica attraverso un “ affondo”. Negli anni antecedenti il 1960 Yoko Gake veniva eseguita in vari modi, ma queste forme sono più legate al Randori, o comunque ai diversi modi di eseguire il Kata prima del 1960.  ( nel 1960 il kodokan ha standardizzato i kata dopo un simposio durato anni. ndr).

L’altro aspetto del Nage no kata è il “ritmo”, il quale deve essere lento in modo da evidenziare l’azione di squilibrio e il contatto, a differenza del Kake  più veloce e deciso ma non violento, come si potrebbe pensare, ( Es: in Kata Guruma viene evidenziato il “ sollevamento “, a questo riguardo si ricorda che agli albori del Judo bastava essere sollevati per decretare “Ippon” , per cui la proiezione viene solo accompagnata –ndr). L’Ultimo aspetto, ma non marginale è l’errore, solitamente, di Uke nell’anticipare Tori nella proiezione. L’armonia tra gli esecutori ( RI-AI )è uno degli aspetti più difficili del Kata e solo dimostrando i tempi giusti e la giusta distanza che il Kata assume la corretta dimensione. Ricordo, durante una mia dimostrazione con  Paniccià Roberto di Porto S.Elpidio, il M° Daigo elogiò l’esecuzione ma ribadì che era troppo violenta e veloce e che il kata doveva essere “diverso” dal Randori. Al momento non capii ma in seguito, riflettendoci, compresi la differenza.        

Concludo sul Nage no kata consigliando che prima di eseguire il “ KATA” occorre eseguire un buon Taiso e gli esercizi preparatori, in questo contesto le “UKEMI specifiche ”, e chiaramente le tecniche richieste nel KATA. E’ opportuno che la pratica sia sempre eseguita da Tori e da Uke, solo così si può progredire. 

  

                                                           Katame No Kata

Molti penseranno che il Katame sia il Kata che offra meno problematiche nella pratica, ma vorrei chiarire alcuni aspetti secondo me importanti. Certamente questo Kata è più semplice degli altri, le difficoltà espresse sono alla portata di tutti, ma vediamo di dare il giusto valore a un Kata ingiustamente sottovalutato rispetto agli altri. Per quanto mi riguarda, da quando lo studio secondo i canoni ufficiali e con gli accorgimenti appresi sono finalmente giunto a dargli un senso, rendendo la pratica piacevole e redditizia, direi che indica un filo logico proponendo una esempio di progressione “ didattica”.

Innanzi tutto occorre stabilire un giusto clima di “tensione” tra Uke e Tori. Uke deve svolgere il suo compito, eseguire i vari modi per uscire, e Tori deve permettere a Uke di svolgerle in maniera ben visibile e con i tempi giusti, pertanto, egli, non deve pensare al randori “chiudendo” troppo deciso, ma stabilire un rapporto tale con il corpo di Uke affinché si evidenzino sia le difese che i cambi di posizione di Tori ( Kei). E’ bene sempre ricordare che nel Kata devono essere evidenziati tutti i passaggi, per cui il “ ritmo” deve seguire queste fasi; -1) preliminari ( modi per arrivare al controllo) molto lenti, cercando di curare tutti i particolari, e aumentando vistosamente il ritmo nel momento dell’esecuzione. Un altro aspetto importante è la risposta di Tori nei cambi di posizione, il quale non deve anticipare la difesa di uke, altrimenti falsa tutto il Kata. Il katame offre purtroppo dei disagi, spostarsi in SHIKKO, pertanto consiglio di tralasciare, nella pratica, questo aspetto del kata e partire dalla posizione CHIKAMA, e limitarsi a eseguirlo una tantum da TOMA, per non scordarsi le distanze. Concludo, consigliando, che una volta appresi i meccanismi provate a intensificare sia la presa che il modo di uscire stabilendo così i limiti della vostra intensità. Stesso consiglio. praticate sia da Tori che da Uke. Per gli insegnanti : proporre gli esempi del katame come Kakari Geiko, esercizi a ruolo.

 

                                       Kime no Kata e Kodokan Goshin Jutsu

Su questi due Kata, al di là della conoscenza tecnica, le condizioni per la pratica sono pressoché identiche, anche se alcuni ritengono che le differenze esistono.

Per quanto mi riguarda, in base alle mie esperienze con i Maestri giapponesi, la differenza sta solo nelle tecniche, ma nella sostanza pochissimo. Di sicuro c’è il periodo, il Kime è stato uno dei primi Kata, il Kodokan Goshin.Jutsu l’ultimo e quindi elaborato in altri contesti epocali., inoltre è rilevante la prevalenza nel Kodokan Goshin Jutsu delle tecniche di Aiki-Jutsu.

Come per tutti gli altri Kata vi è l’esigenza di portare il corpo alla migliore condizione ottimale  considerando che in questi due vi sono molte tecniche di Atemi e lussazione, per cui un Taiso specifico prima di cominciare è indispensabile, lavorando sul riscaldamento muscolare e mobilità articolare provando le tecniche di lussazione a parte, gradualmente, prima di cominciare il kata vero. Consiglio, per chi lo conosce, di eseguire tre o quattro volte il KOBO SHIKI (nome dato dal Proff. J. Kano al “Seiryoku zen’yo Kokumin Taiiku no Kata “), la parte del Tandoku Renshu.

Un discorso a parte per il ritmo da sostenere in questi Kata: preliminari lenti, molto lenti, per poi esplodere al momento dell’azione, cambiando lo stato mentale tra il “prima” dell’azione e il “durante”, aspetto che parleremo in ultimo.

 

                                                                Ju no Kata

Una considerazione a parte per questo kata che viene indicato come il meno “traumatico” fra tutti e il più facile data la sua lentezza e assenza di proiezioni. Consiglio di non sottovalutare questo kata, anche se in parte è vero riguardo la sua difficoltà, ma chi lo pratica da anni sa che può nascondere delle insidie, inoltre non sono per niente d’accordo che sia facile anche se possono praticarlo non judoisti, ma alcune posizioni sono da preparare accuratamente prima con specifici esercizi , in modo da evitare problemi alla schiena dovuti a ipertensioni da parte di uke, o stiramenti dei bicipiti femorali da parte di tori. Non voglio dire con questo che il Ju no kata sia pericoloso, ma se vogliamo esprimere al meglio l’idea di cedevolezza occorre preparare il corpo a questo fine. Alcuni dicono che a questo si arrivi solo praticando e praticando, è vero, ma il fondatore dava al Taiso una importanza maggiore rispetto alla tecnica e consigliava sempre una buona preparazione fisica prima della tecnica.         

Concludo consigliando alcuni esercizi di preparazione per il Ju no Kata:

allungamenti classici che riguardino principalmente la parte lombare della schiena, le gambe e le spalle eseguiti da soli. A seguire alcuni esercizi in gruppi di tre compagni per allungare la parte posteriore delle gambe in previsione dei caricamenti di Nage Waza, es N° 1; gambe leggermente divaricate e tese, flessione del busto in avanti fino a raggiungere all’incirca 90°, testa il linea con il corpo. Un compagno davanti gli prende le braccia e le tende in linea con il corpo mentre l’altro con le mani appoggiate sulle spalle premerà verso il basso creando così una condizione di caricamento graduale.

Es. N° 2; in coppia, porsi dietro e prendere le braccia all’altezza dei gomiti e cominciare a indietreggiare fino a creare una curva sulla schiena appoggiando la testa sul nostro petto e contare fino a trenta secondi, ripetere varie volte. Es. N° 3; in coppia, porsi dietro, prendere come per Katate Age e flettere da una parte per trenta secondi, cambiare braccio e eseguire dall’altra parte, solito tempo. Eseguire varie volte.

Es. N° 4 ; da soli mimare gli spostamenti di Ryokata Oshi per diverse volte, cercando di girare sempre in equilibrio e abbassandosi sempre di più, anche se nel kata non è necessario andare molto bassi.

Da evitare, nella pratica, i movimenti “scattosi” e rigidi o comunque “tesi”, persino il viso non dovrebbe far trasparire tensione. Il fine del Ju no kata è ricercare la morbidezza nei movimenti e l’armonia che si deve instaurare tra Tori e Uke, cercando il più possibile di essere “ naturali “, come consigliava la M ^ Akiyama Sumiko 7° dan, nelle sue recenti trasferte a Prato.  

 

                               Seiryoku Zen’yo Kokumin Taiiku no kata

Sicuramente il Kata meno praticato non per la sua difficoltà ma perché pochi lo conoscono, pertanto mi limiterò solo a consigliarne la sua pratica nelle fasce giovanili, fino a 16 anni circa, secondo criteri schematici, cioè a comando, limitando il Tandoku Renshu fino a 12 anni e il Kime Shiki fino a 16 anni. Il Ju Shiki, essendo il Ju no kata ridotto, 10 tecniche ( probabilmente come lo era all’inizio del judo ndr) è libertà dell’insegnante far praticare solo alcune tecniche per volta , quelle che ritiene opportuno, fino ad arrivare al Ju no kata completo a dx e sx.

 

                                                        Koshiki e Itsutsu

Kata estremamente difficoltosi per spiegare degli esercizi idonei, almeno per me, per cui posso solo dire che al di là degli esercizi preparatori di alcune tecniche, che poi sono solo le ukemi le quali devono essere specifiche per ogni tecnica. Consiglio di studiare la “caduta” sul sedere in Shikoro Gaeshi da parte di Tori la quale è particolarmente difficoltosa e dolorosa se non allenata in modo corretto. Inoltre va curato il modo di camminare che potrebbe sembrare una via di mezzo tra Ayumi ashi e Tsugi ashi che alcuni definiscono Tsuri Ashi ( camminare normalmente strisciando i piedi- ndr) ) immaginando di avere il peso dell’armatura, e il ritmo, che deve essere estremamente lento nella parte Omote e leggermente più dinamico in Ura, ma non veloce.

Ma ,ripeto, per questi Kata occorre una spiegazione diretta e pratica.

Ultimo aspetto per tutti i Kata, ma non per importanza, la condizione mentale. Ritengo molto difficile spiegare “ l’atteggiamento mentale” giusto durante il Kata, tuttavia mi sforzerò di illustrarvi con degli esempi che mi hanno aiutato.

Nel Bujustu (arte guerriera) era indispensabile avere la giusta “ attenzione “ senza essere particolarmente attento, occorreva essere “” presente ma nelle stesso tempo non lasciarsi coinvolgere emotivamente dalla situazione, evitando che qualsiasi emozione potesse distrarre la “concentrazione”. Certo si può obbiettare che forse nel combattimento vero era più facile essere nello stato di “Mushin” e che la paura di morire ne favorisse la condizione, invece riproporre nel kata lo stato di Mushin sia più difficile. E’ vero, ma ritengo che chi ha praticato molto randori, o perlomeno agonismo senza comunque essere stato per forza un campione, possa essere  facilitato.

Per distinguere il diverso stato mentale tra “prima “di entrare nel Kata ( preliminari -ndr) e “ durante “ il kata , si usano le terminologie “Zanshin” attenzione del tutto quindi “Mente “e “Mushin “ non attenzione del particolare o “ non Mente” o più semplicemente “ lasciarsi andare “ , non farsi dominare dalle emozioni. Essere dentro il Kata vuol dire “viverlo”, farne parte e comunque essere a disposizione delle esigenze del Kata specifico, e per fare un paragone con altre situazioni provate a lasciarvi andare ascoltando una musica o essere assorbiti da una visione tipo un opera d’arte o un evento naturale e immaginate di farne parte, di essere “ dentro”. Ecco, ritengo che se il praticante del kata non è condizionato dalle emozioni, esame, gara o dimostrazione, e riuscirà a trasmettere agli altri delle sensazioni, avrà ottenuto lo scopo o comunque un livello superiore.       

Spero di aver chiarito questi aspetti che sono la somma di esperienze che ho avuto in tutti questi anni di pratica. Confesso che molti esercizi sono “ rubati ” ad altri Maestri, alcuni elaborati dal sottoscritto, l’importante è che mi siano serviti a facilitare la pratica dei kata e renderla piacevole

Luigi Moscato